Risguardo di copertina
i saperi che si ammantano di scientificità nascondono talora un cuore di fede, l'adesione ottenebrante a un credo. serge latouche l'ha scoperto quando era un giovane economista allevato alle dottrine sviluppiste e da allora non ha smesso di sfatare la religione secolare che si annida nella scienza economica. in queste tre conversazioni - con thierry paquot, daniele pepino e didier harpagès - latouche per la prima volta racconta ampiamente di sé, di come sia diventato "ateo" e abbia concepito l'idea sociale della decrescita: le erranze della vita e del pensiero, tra francia, africa e oriente, il terzomondismo, i compagni di strada, la svolta verso un'ecologia politica, la determinazione a opporsi dal basso all'incultura dell'iperproduzione e dell'iperconsumo, il conio di espressioni ormai adottate da ampi movimenti, come "decrescita serena" e "abbondanza frugale". se i dogmi tossici dello sviluppo a ogni costo hanno spalancato l'abisso di una crisi senza fine, l'alternativa radicale secondo latouche è uscire dall'economia, nelle pratiche e nell'immaginario. il solo modo, per lui e per tutti gli obiettori di crescita, di recuperare una prosperità non mercantile ma relazionale.