Risguardo di copertina
il libro di améry è un tenace catasto di molte sconfitte. l'etica in nome della quale il nazismo era stato combattuto viene negata dalla violenza e dal terrore imperanti in altre, varie parti del mondo; l'antisemitismo risorge in altri modi e in altre forme. con inesorabile precisione e passione di verità, améry registra le disfatte dello spirito di auschwitz, a cominciare dalla peculiare inferiorità nella quale, nel lager, vengono a trovarsi gli intellettuali, che l'inadeguatezza alla dimensione meramente fisica cui è stata ridotta la vita rende paria fra i paria, e che l'umanesimo scettico e autocritico, privo di certezze assolute, rende più indifesi rispetto a chi, come i credenti religiosi e i militanti marxisti ortodossi, possiede una fede incrollabile e una spiegazione inoppugnabile, che aiutano a sopportare torture, privazioni, umiliazioni e morte. un'altra, ancor più insidiosa fragilità dell'intellettuale consiste nella riflessione, che gli impedisce di illudersi e, costringendolo a scrutare sino in fondo l'annientamento della morale del lager, lo induce a interrogarsi sulla debolezza della morale stessa dinanzi alla realtà e a dubitare dei valori che non hanno saputo dominare il corso degli eventi.
Risguardo di copertina
il libro di jean améry "levar la mano su di sè" tratta del suicidio. letterato e filosofo ebreo, di origine viennese ma esule dal 1938 a bruxelles, attivamente antinazista, améry fu arrestato durante l'occupazione del belgio, sottoposto a orribili torture e poi internato per due anni in campi dai nomi sinistri e famosi. è morto suicida nel 1978, due anni dopo la pubblicazione di questo libro in lingua tedesca.conoscevamo parte di questa storia di vita attraverso due suoi libretti precedenti, usciti in italia presso lo stesso editore nel 1987 e 1988: "intellettuale a auschwitz"; e poi "rivolta e rassegnazione", che nell'originale porta come titolo "sull'invecchiare". è probabile che améry verrà ricordato soprattutto per il primo; il quale non è soltanto, n‚ soprattutto, la testimonianza al un itinerario di persecuzione e dl sopravvivenza, ma anche una sequenza di riflessioni di grande umanità e interesse: come quelle sulla "terra natale" e la patria ("heimat" e "vaterland") e sul concetto di risentimento. il suo secondo libro, sull'invecchiare, riflette una sofferenza soggettiva molto maggiore, e anche una minore serenità. l'invecchiare - egli dice - non è un processo fisiologico, ma propriamente una malattia (p. 55), un virus, che è quello della morte (p. 149) e che produce, oltre a uno "sfacelo vergognoso" (p. g5), un'estraniazione culturale, un"'irritazione che, con tutta la buona volontà, tenacemente erompe contro il nuovo che s'avvicina" (pp. 101-2). nel suo rigore pessimista, améry giunge al punto di criticare con sarcasmo gli "atteggiamenti positivi" verso la senescenza (pp. 96-97). opportunamente claudio magris osserva nella sua nota introduttiva che l'ottica dell'autore è almeno in parte quella del risentimento; ma non si tratta solo di questo. in particolare, in taluni capitoli emerge una sorta di aristocratica, insistita e accanita antipatia dell'uomo améry per sé medesimo, antipatia che purtroppo finisce alla lunga per contagiare - suo malgrado - anche il lettore più simpatetico e paziente. la difficoltà di améry a trascendere la contingenza del soggettivo è evidenziata dal fatto sorprendente che quando scriveva queste pagine egli aveva soltanto cinquantacinque anni.il terzo libro, sul suicidio, è una difesa altrettanto e più appassionata, accanita cd estrema, e ancor meno obiettiva, non soltanto del valore della più dignitosa "morte libera" (intesa come matura scelta di por termine alla propria vita), ma anche del suicidio in generale. quando lo scrive, améry ha già tentato una volta di morire, rimanendo trenta ore in coma (p. 66); inoltre in quel periodo "molto spesso", egli ci dice, scavalca la ringhiera di un certo balcone situato al sedicesimo piano, e si protende nel vuoto reggendosi con una sola mano alle sbarre di ferro (p. 56).la tesi centrale di améry è che la scelta di uccidersi è per definizione una rottura, una discontinuità "non situabile" rispetto a un mondo che ci vuole condizionare. "la società in quanto società si impone sempre nei nostri confronti... la contraddizione si risolve solo staccandoci, liberandoci dalla nostra esistenza"