Dettagli opera: MITI, LEGGENDE E SUPERSTIZIONI DEL MEDIOEVO

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Codice:
96710
Autore:
GRAF ARTURO
Titolo:
MITI, LEGGENDE E SUPERSTIZIONI DEL MEDIOEVO
Edito da:
INDIPENDENTE
Anno di edizione:
2020
Genere:
STORIA
Formato di registrazione:
DAISY
Codice isbn:
8636826835
Durata:
812 minuti
Dimensione file:
389883321
Lettura eseguita da:
FERRANTI WALTER
Livello di lettura:
SECONDO LIVELLO

Risguardo di copertina

È ormai notissimo a tutti che l’immaginazione di uno stato di felicità e d’innocenza di cui gli uomini avrebbero goduto nell’inizio dei tempi, e dal quale sarebbero poi decaduti, immaginazione che porge argomento ad uno degli antichi racconti tradizionali che vennero a collegarsi nella Bibbia, e forma come il luogo d’origine di tutta la rimanente storia che ad essa consegue; non è una immaginazione particolare; non appartiene in proprio a quel libro; ma è generalissima e diffusissima, e appare, con forme varie e mutabili, nei libri e nelle tradizioni di molte religioni diverse, ed è parte vivace e saldissima della comune e spontanea credenza umana, tanto che questa rimanga impenetrata alla scienza e riottosa alla critica. Noi la troviamo su tutta la faccia della Terra, dovunque son uomini; essa era già nata quando non era ancor nata la storia; essa vive onnipresente; essa vivrà per lungo tempo ancora in avvenire, benchè premuta da ogni banda e incalzata da nuovo pensiero e da nuova cultura. Gli Indiani, gli Egizi, i Persiani, i Cinesi, le varie famiglie dei Semiti, i Greci, i Latini, i Celti, i Germani conobbero il Mito: se, lasciato il vecchio mondo, attraversiamo i mari, noi ritroviamo il mito in America, in Oceania, nelle ultime plaghe di terra abitata che cingono il polo. E in tutti i tempi, e fra tutte le genti, sotto sembianze quando simili in tutto, quando leggermente difformi, il mito serba la stessa sostanza di concetto e la stessa significazione, e nel modo che più direttamente e più strettamente si leghi all’idea di tempo, o all’idea di luogo, esso riesce, sia alla immaginazione di un’età beata ed aurea, sia a quella di un luogo paradisiaco ed arcano, primo ed unico albergo della umana felicità. I libri sacri dell’India e il Mahâbârata celebrano l’aureo monte Meru da cui sgorgano quattro fiumi, che si spandono poi verso le quattro plaghe del cielo, e sulle cui giogaie eccelse olezza e risplende, incomparabile paradiso, l’Uttara-Kuru, dimora degli dei, prima patria degli uomini, sacra ai seguaci del Budda non meno che agli antichi adoratori di Brama. Gli Egizi, a cui forse appartenne in origine l’immaginazione degli Orti delle Esperidi, serbavano lungo ricordo di una età felicissima, vissuta dagli uomini sotto la mite dominazione di Râ, l’antichissimo dio solare. L’Airyâna vaegiâh, che sorgeva sull’Hara-berezaiti dei Persiani, fu un vero Paradiso terrestre, innanzi che l’errore dei primi parenti e la malvagità d’Angrô-Mainyus l’avessero trasformato in un buio e gelido deserto; e nell’Iran, e nell’India, come in Egitto, durava il ricordo di una prima età felicissima. I Cinesi coronarono il Kuen-lun di un paradiso, dove sono parecchi alberi meravigliosi e d’onde sgorgano parecchi fiumi. Nelle tradizioni religiose degli Assiri e dei Caldei il mito appare con sembianze che non si possono non riconoscere come simili affatto a quelle del mito biblico. Greci e Latini favoleggiarono dell’età dell’oro, dei regni felici di Crono e di Saturno, e di più terre beate. In tutte così fatte immaginazioni noi troviamo elementi comuni che si compongono insieme o si suppliscono a vicenda, alberi e frutti datori di vita e di scienza, fontane d’immortalità o di giovinezza, fiumi che si spargono intorno a fecondare la terra, mitezza e giocondità di cielo, riso perpetuo di natura, un divieto, una trasgressione, una caduta; una breve felicità originale a cui sussegue lunga e crescente miseria. La credenza che il monoteismo giudaico fosse religione primigenia, indivisa, tutta omogenea e tutta coerente, e credenza sfatata da tempo, e non v’è più modo di dubitare che il racconto biblico della caduta dell’uomo non provenga d’altronde e non si leghi ad un mito molto più generale e più remoto. Basterebbe a darne prova il fatto della poca coesione sua con l’altro racconto, detto ‘eloista’, al quale esso si congiunge nella Genesi.