Risguardo di copertina
"mi manchi tantissimo, tatocka - sono solo come un vecchio gufo." così, nel 1930, scriveva iosif stalin alla moglie nadja, rivolgendosi a lei col suo affettuoso soprannome. il nuovo libro di simon sebag montefiore, acclamato come una delle voci più originali e autorevoli della divulgazione storica, è un punto di rottura con la tradizionale letteratura sul dittatore sovietico: lontano dai cliché e dalle regole di genere, getta una luce del tutto originale sulla figura dello zar rosso, che rivive attraverso le storie degli uomini e delle donne della sua "corte". tra i palazzi del cremlino e le dacie sul mar nero, tra le cene con la famiglia e le riunioni del politburo, tra i congressi che lo acclamarono leader e sancirono la sua supremazia e la rete di relazioni informali attraverso la quale il suo dominio si consolidò, la sua esistenza si snoda lungo un filo narrativo che vede protagonisti gli aspetti più intimi e privati della vita di un uomo. il dittatore ci appare, così, come un personaggio "più comprensibile nei suoi tratti profondi", più reale di quello a cui la storiografia ci ha abituati. grazie alla notevole quantità di materiale inedito di cui l'autore si serve - dagli archivi russi aperti di recente al pubblico alle numerose interviste con testimoni del regime - abbiamo accesso ai segreti di una corte in apparenza grandiosa, ma, in realtà, paralizzata dal terrore, nella quale la vita di ciascuno, parenti e amici in prima linea, è appesa a un filo sottilissimo. incontriamo gli uomini del suo seguito, tratteggiati con abilità dalla mano dell'autore: dai più noti, come il pedante molotov e lo spregiudicato berija, ai meno conosciuti, come il "nano sanguinario" ezov o il "perfetto bolscevico" ordzonikidze. possiamo leggere le loro lettere, assistere alle loro feste e, allo stesso tempo, inorridire per la leggerezza con cui furono disposti a uccidere migliaia di persone in nome di quella fede quasi religiosa nel bolscevismo alla quale consacrarono la loro vita, spesso rimanendo incastrati tra i mortali ingranaggi di quella gigantesca macchina del terrore che fu il regime di iosif stalin.
Risguardo di copertina
"mi manchi tantissimo, tatocka - sono solo come un vecchio gufo." così, nel 1930, scriveva iosif stalin alla moglie nadja, rivolgendosi a lei col suo affettuoso soprannome. il nuovo libro di simon sebag montefiore, acclamato come una delle voci più originali e autorevoli della divulgazione storica, è un punto di rottura con la tradizionale letteratura sul dittatore sovietico: lontano dai cliché e dalle regole di genere, getta una luce del tutto originale sulla figura dello zar rosso, che rivive attraverso le storie degli uomini e delle donne della sua "corte". tra i palazzi del cremlino e le dacie sul mar nero, tra le cene con la famiglia e le riunioni del politburo, tra i congressi che lo acclamarono leader e sancirono la sua supremazia e la rete di relazioni informali attraverso la quale il suo dominio si consolidò, la sua esistenza si snoda lungo un filo narrativo che vede protagonisti gli aspetti più intimi e privati della vita di un uomo. il dittatore ci appare, così, come un personaggio "più comprensibile nei suoi tratti profondi", più reale di quello a cui la storiografia ci ha abituati. grazie alla notevole quantità di materiale inedito di cui l'autore si serve - dagli archivi russi aperti di recente al pubblico alle numerose interviste con testimoni del regime - abbiamo accesso ai segreti di una corte in apparenza grandiosa, ma, in realtà, paralizzata dal terrore, nella quale la vita di ciascuno, parenti e amici in prima linea, è appesa a un filo sottilissimo. incontriamo gli uomini del suo seguito, tratteggiati con abilità dalla mano dell'autore: dai più noti, come il pedante molotov e lo spregiudicato berija, ai meno conosciuti, come il "nano sanguinario" ezov o il "perfetto bolscevico" ordzonikidze. possiamo leggere le loro lettere, assistere alle loro feste e, allo stesso tempo, inorridire per la leggerezza con cui furono disposti a uccidere migliaia di persone in nome di quella fede quasi religiosa nel bolscevismo alla quale consacrarono la loro vita, spesso rimanendo incastrati tra i mortali ingranaggi di quella gigantesca macchina del terrore che fu il regime di iosif stalin.