Risguardo di copertina
l'ispettore takeshi nishida della squadra omicidi della polizia di tokyo ha un secondo nome che pochi conoscono, ma che dice molto di lui. all'anagrafe infatti è takeshi james nishida. perché nishida è un hafu: un mezzo sangue, padre giapponese e madre americana. forse per questo non riesce a essere sempre accomodante e gentile come la cultura e l'educazione giapponese vorrebbero. forse è per il suo carattere impulsivo, per quel suo modo obliquo e disincantato di vedere le cose e le persone che lo circondano, che non ha mai fatto carriera come avrebbe meritato. o forse è perché lui non vuole fare carriera, se questo significa mettere i piedi sotto la scrivania invece di usarli per battere le strade di tokyo, città che ama e disprezza con altrettanta visceralità – e che allo stesso modo lo ricambia. ma nishida è eccezionale nel suo lavoro: lo dimostra il numero di indagini che è riuscito a risolvere. fino al caso dell'ombrello. un uomo, ritrovato morto. l'arma del delitto? all'apparenza, un comunissimo ombrello di plastica da pochi yen, di quelli che tutti usano, tutti smarriscono e tutti riprendono da qualche parte. ma questo ombrello ha qualcosa che lo differenzia dagli altri. un piccolo cerchio rosso dipinto sul manico e, soprattutto, un'impronta. e nishida si troverà di fronte a un incredibile vicolo cieco quando scoprirà a chi appartiene l'impronta digitale del possibile assassino: all'imperatore del giappone.