Risguardo di copertina
correva il 1998 quando, non lontano da alencon, un erudito quanto oscuro specialista di cose bretoni, bernez rouz, dava alle stampe un libro di eccezionale importanza e di stupefacente intensità, che resuscitava un carneade della storia. si tratta del volume che il lettore italiano ha oggi la ventura di tenere in mano, "memorie di un contadino": esito inopinato e felice del rinvenimento, in un qualche polveroso solaio di bretagna, del classico 'manoscritto scomparso'. con la differenza, rispetto al più vieto degli artifici letterari, che qui non di letteratura si tratta, ma di storia, e non di finzione, ma di realtà. sicché per una strada casuale e gratuita, ci è dato ora di sapere tanto, tantissimo dell'esperienza di vita di un francese dell'ottocento che la sorte avrebbe normalmente destinato alla condizione di un non-essere: nato, lui, a guengat, dipartimento del finistère, nel 1834, e morto nel capoluogo, a quimper, nel 1905, giusto un secolo fa. a emergere dal manoscritto ritrovato è una figura gigantesca. psicologicamente, ha le misure di un rousseau dell'ottocento: come il celebre autore delle "confessioni", così l'ignoto déguignet è convinto di tentare, scrivendo le proprie memorie di nullità sociale, un'impresa mai compiuta in precedenza. letterariamente, ha la genuinità di tratti e la verità d'accenti di un personaggio di zola: come nella saga dei rougon-macquart, così nella vita di déguignet si riflette la vicenda di quella generazione di francesi che sperimentarono, in troppo rapida successione, la fine dell'antico regime rurale, i pirotecnici esordi della modernità, i guasti di un'industrializzazione selvaggia. storicamente, poi, la figura di déguignet si presenta tanto ricca da sembrare un'invenzione di clio, la musa del canto epico: le campagne militari del secondo impero, questo contadino bretone le ha infatti combattute tutte, dalla guerra di crimea alla battaglia di solferino e dall'impresa algerina alla disfatta messicana. e il racconto che ne fa occupa la parte centrale della narrazione autobiografica: ed è un racconto talmente genuino, vivace, picaresco da non meritare parola alcuna di introduzione, che negherebbe al lettore il piacere di scoprirlo da sé. da carneade della storia anche l'epilogo della sua vicenda terrena, morì infatti in un ospizio e il suo certificato di morte fu controfirmato unicamente da due infermieri. dovette poi passare tutto un secolo, prima che la sovrana casualità delle cose restituisse all'ulisse del finistère una piena dignità.