Risguardo di copertina
è ormai chiaro che lo strapotere delle grandi multinazionali, capace di condizionare la vita politica, le scelte economiche, i flussi informativi, costituisce un rischio per le odierne democrazie liberali. ma il fenomeno è tutt’altro che nuovo. circa quattrocento anni fa un’audace start-up londinese, dal suo piccolo ufficio nel cuore della city, si lanciò, letteralmente, alla conquista del mondo. la compagnia britannica delle indie orientali, una delle prime società per azioni, avviò l’attività con trentacinque dipendenti e una patente regia che le consentiva di «muovere guerra». duecento anni più tardi, gli immensi profitti del commercio con le indie – e un uso spregiudicato della forza e della diplomazia – l’avevano resa più ricca, potente e bellicosa della nazione in cui era nata: disponeva di uno dei più grandi e moderni eserciti permanenti al mondo, e controllava sconfinati territori, governati al di fuori di ogni legittimazione democratica e costituzionale. inevitabilmente, il suo potere si insinuò anche in patria, rischiando di minarne gli ancor giovani princìpi democratici con la corruzione, i conflitti di interesse, il traffico di influenze.
Risguardo di copertina
nel 1839 un'armata britannica di quasi ventimila uomini invade l'afghanistan per insediare sul trono del paese un sovrano fantoccio, shah shuja, e contrastare così la temuta espansione russa in asia centrale: è l'inizio del grande gioco, la sanguinosa partita a scacchi tra potenze coloniali europee per il controllo della regione, immortalata da kipling in kim. ma è anche il primo fallimentare coinvolgimento militare dell'occidente in afghanistan. meno di tre anni dopo, il jihad delle tribù afghane guidate dal re spodestato, dost mohammad, costringe gli inglesi a una caotica ritirata invernale attraverso i gelidi passi dell'hindu kush. soltanto una manciata di uomini e donne sopravvivrà al freddo, alla fame, e ai micidiali jezail afghani. l'impero più potente al mondo era stato umiliato. attingendo a fonti storiche in persiano, russo e urdu sino a oggi sconosciute - compresa l'autobiografia di shah shuja, la cui tragica figura rappresenta il vero fulcro del libro - nonché ai diari e alle lettere dei protagonisti inglesi dell'invasione, dalrymple racconta una vicenda insieme drammatica e farsesca, popolata di personaggi affascinanti e crudeli, incompetenti e geniali, eroici e boriosi. e la racconta in maniera trascinante, senza tuttavia farci mai dimenticare quanto quegli eventi - le antiche rivalità tribali sullo sfondo di territori inaccessibili e inospitali, gli errori strategici che portarono al massacro dell'armata britannica risuonino, ancora oggi, come un monito.